Gianluca De Col Scrittura | Teatro | Formazione

En travesti n. 2 I ruoli femminili nell’Opera di Pechino

“A Lanfang, grazie di tutto! Cassandra Casbah.”

Mei Lanfang

“A Wong Foo, grazie di tutto! Julie Newmar.”, è un film cult del 1995 diretto da Beeban Kidron e interpretato da Patrick Swayze, Wesley Snipes e John Leguizamo, nei panni di tre drag queen. “A Lanfang, grazie di tutto! Cassandra Casbah.” è il primo di una serie di articoli dedicati al travestimento nello spettacolo.

Pratico il lavoro en travesti da molto tempo, interpretando il personaggio di Cassandra Casbah. Nella mia ricerca ho studiato il lavoro di attori che hanno recitato ruoli femminili in maniera sublime, uno di questi è Mei Lanfang.

Nel caso di Mei Lanfang parlerò di “recitazione” e non di “interpretazione”, cercando di restituire la distanza che, nella tradizione recitativa orientale, l’attore deve mantenere rispetto al personaggio e rispetto a sé stesso.

La mia ricerca prende avvio da alcune domande: quali sono le affinità e le differenze tra le performance drag queen e la recitazione en travesti? Perché solo nei secoli XVl e XVII in Europa comincia a delinearsi la figura dell’attrice? Perché per secoli le donne non hanno potuto recitare? Da dove arriva il termine “travesti”?

Secondo il Vocabolario Treccani il termine “travesti” deriva dalla corruzione del verbo francese “travestir”, travestire, ed indica una parte teatrale maschile o femminile sostenuta da un attore del sesso opposto, il termine è stata soprattutto in uso nel gergo teatrale.

L’attribuzione di ruoli femminili ad attori di sesso maschile è tradizione teatrale millenaria e comune a molte culture: dal teatro tradizionale cinese, al teatro Nō giapponese, dal teatro greco antico al teatro d’epoca Elisabettiana.

Perché nasce la tradizione dell’uomo che recita ruoli femminili?

All’uomo è riconosciuta una funzione pubblica e sociale, alla donna no. L’attore ha un ruolo pubblico. Alla donna, che non ha riconoscimento sociale, è dunque negato un ruolo pubblico. Alla donna è negata la possibilità di recitare se stessa.

Si aprono molte questioni, quanto mai attuali. Pare che ci si trovi – per secoli – di fronte ad un femminile scritto e recitato da soli uomini. Ma quali esempi di grandezza, potenza e pietà femminile si trovano nelle tragedie greche! Quale sublime bellezza nei ruoli “dan” (ruoli femminili recitati da uomini) dell’Opera di Pechino, che paiono rappresentare non solo un femminile, ma un ideale, altissimo, di femminile.

I ruoli femminili sono stati al centro di un congresso dell’ISTA (International School of Theatre Anthropology, fondata nel 1979 da Eugenio Barba). Il principale campo di studio dell’ISTA è l’antropologia teatrale, ovvero lo studio del comportamento umano in una situazione performativa, in cui una tecnica corporea extra-quotidiana sostituisce una tecnica corporea quotidiana.

Così scrive Eugenio Barba nel testo introduttivo al congresso “The Female Role as Represented on the Stage in Various Cultures” (ISTA IV. Holstebro 17 – 22/09/1986): “Una tecnica corporea non è una forma di comportamento puramente fisica, ma è sia fisica che mentale. In teatro, ciò si riferisce all’interrelazione di tre poli: la pre-espressività, il contesto tradizionale e culturale, la personalità dell’attore. […] Indagare i diversi modi in cui il ruolo femminile viene rappresentato/personificato nel teatro delle diverse culture significa andare al centro del triangolo formato da questi tre poli.”

Nel teatro tradizionale asiatico (nel teatro giapponese Nō e Kabuki, nel Kathakali indiano, nel teatro tradizionale cinese) spesso i ruoli femminili sono interpretati da uomini. Ci sono anche casi in cui le donne interpretano ruoli maschili.

In Giappone, India, Bali e Thailandia i ruoli femminili possono essere interpretati in due modi opposti: uno forte e vigoroso o ‘virile’, l’altro morbido e delicato o ‘femminile’. Scrive Eugenio Barba: “’virile’ e ‘femminile’ diventano termini inappropriati: sia il ‘femminile’ che il ‘maschile’ possono, infatti, essere interpretati come ‘vigorosi’ oppure ‘morbidi’. È l’attore, non la tradizione, che decide.

Mentre in Occidente, in generale, il gioco dei ruoli maschili e femminili si conforma ai modelli di comportamento sociale, nelle forme classiche asiatiche si creano modelli scenici e modelli di recitazione che si discostano da quelli della vita quotidiana: nella vita quotidiana non esistono donne guerriere, ma sono spesso presenti nelle realtà teatrali del Giappone e della Cina. Nel teatro asiatico le donne possono manifestare quel temperamento vigoroso e forte che viene loro negato nella vita quotidiana e che, in Occidente, è tipico di eroine come Lady Macbeth o Medea, spesso considerate anormali.”

Fra gli esempi più eclatanti di attori di sesso maschile che recitano ruoli femminili vi è Mei Lanfang.

Mei Lanfang (Pechino 1894 – 1961), figlio d’arte, diventa celebre nell’Opera di Pechino nel personaggio della “dan”, ruolo femminile recitato da uomini che richiede grandi abilità nel canto in falsetto, nelle acrobazie e nei combattimenti.

I ruoli “dan” sono divisi in cinque categorie: la donna calma e gentile (Quingyi), la concubina (Huadan), la donna anziana ed autorevole (Laodan), l’esperta di arti marziali (Wudan) e la giovane guerriera (Daomadan). Queste due ultime categorie spiegano perché l’attore deve essere abile in acrobazie e combattimenti.

Lo studio e l’allenamento rigoroso permettono a Mei Lanfang di imporsi nei ruoli “dan”, e gli consentono di recitare anche nell’età matura.

Il suo debutto coincide con la nascita della prima repubblica cinese e la fine dell’ordine dinastico durato secoli. Nel clima di rinnovamento culturale Lanfang da vita ad un nuovo stile teatrale chiamato “teatro in costume antico”. La maggior parte dei testi da lui messi in scena sono riadattamenti di antiche storie danzate in costumi storici oppure opere nuove. Attorno a Lanfang si raccolgono artisti ed intellettuali, il drammaturgo Qi Rushan compone per lui numerosi testi.

Mei Lanfang introduce innovazioni nella danza e nella recitazione. Modera la voce del ruolo “dan”, caratterizzata dall’uso del falsetto, smussando i toni troppo acuti. Ritocca il trucco, spostando in avanti i riccioli posticci per rendere più ovale il viso. Introduce nell’orchestra un secondo violino per arricchire l’effetto sonoro complessivo.

Innovazioni apparentemente poco rilevanti, ma rivoluzionarie se si considera che vanno a modificare una tradizione rimasta immutata per secoli.

Lanfang è il primo attore cinese a compiere tournée all’estero, e a presentare fuori dalla Cina il repertorio tradizionale dell’Opera di Pechino. Le sue esibizioni lasciano il segno. Nel 1919 recita in Giappone, nel 1930 compie una tournée negli Stati Uniti toccando New York, Las Vegas e Chicago. Nel 1934 viene inviato in Russia, dove viene a contatto con i maggiori esponenti del mondo teatrale e cinematografico russo: Stanislavsky, Merjerchol’d, Ėjzenštejn. Quest’ultimo, nel 1935, filma Mei Lanfang a Mosca durante un’esibizione.

Mei Lanfang in Russia

La qualità recitativa, la meticolosa preparazione e la perfezione dei gesti di Mei Lanfang stupiscono e influenzano molti uomini di teatro. Berltot Brecht prende a modello alcune delle sue tecniche recitative per ampliare il concetto di “straniamento”, ovvero l’effetto di distanza che l’attore suscita nello spettatore non identificandosi con il personaggio, ma rappresentandolo, grazie alla recitazione, come diverso da sé, fino a farne qualcosa di noto e di estraneo al tempo stesso.

Nella parte finale della sua vita Mei Lanfang si dedica alla trasmissione del proprio sapere: insegna a recitare – anche alle donne – quei ruoli femminili dell’opera di Pechino che per tradizione erano riservati agli uomini.

Le tecniche recitative dell’Opera di Pechino basate sulla rappresentazione e non sull’identificazione permettono a Mei Lanfang di scolpire – all’interno di una tradizione – un femminile che ha modificato la storia del teatro.

Una capacità recitativa magistrale che dissolve ogni questione sull’identità di genere. Ci si trova di fronte ad un attore che compie rigorosamente il proprio lavoro.

Mei Lanfang nella sua autobiografia cita dei versi che gli vennero insegnati quando era bambino, riguardano il rapporto tra attore/pubblico e tra attore/personaggio:

“Coloro che ti guardano non devono vedere il tuo Io,
e tu stesso non devi pensare a questo Io quando sei sulla scena.
Guarda la parte, qualunque sia il ruolo che devi recitare,
chiunque reciti un personaggio deve essere quel personaggio.”

Essere il personaggio e allo stesso tempo guardare il personaggio. L’attore deve guardare due volte:, con i propri occhi e con quelli del personaggio. L’attore deve forse esercitare un doppio sguardo. Una grande lezione di teatro.

Per questo, “A Lanfang, grazie di tutto!

Mei Lanfang